Comunicare bene per curare l’anima: a lezione di empatia da un medico palliativista

A tutti è successo, almeno una volta nella vita, di ricevere una brutta notizia: magari un colloquio di lavoro andato male, un caro amico che si trasferisce in un Paese lontano o un amore finito non per nostra volontà. Le brutte notizie fanno sempre male, certo, ma il modo in cui vengono comunicate, così come la capacità del nostro interlocutore di capire come ci sentiamo e condurre la conversazione di conseguenza, può davvero aiutare ad affrontare meglio il dolore.

Siamo in grado di influenzarci a vicenda molto più di quanto immaginiamo, ed è per questo che – specie per chi svolge professioni che richiedono una costante interazione con le persone – sviluppare una buona intelligenza sociale e avere una eccellente capacità empatica può davvero fare la differenza.

Rapporto medico-paziente: al di là della cura fisica

L’importanza di trovarsi davanti persone empatiche, capaci di mettersi nei nostri panni e farci capire di aver profondamente compreso il nostro stato d’animo, emerge in tutti i contesti della vita. Ma diventa un requisito davvero centrale in ambito medico, dove l’interazione con il prossimo è continua e la modalità in cui questa avviene può essere incredibilmente significativa. Nel bene e nel male. 

Quando si tratta di ricevere informazioni delicate sulla nostra salute o su quella dei nostri cari, infatti, percepire da parte di un medico o un infermiere l’adeguato supporto emotivo, ed essere trattati con empatia, può rendere il processo di metabolizzazione dell’informazione molto più leggero. E di conseguenza incentivare una reazione più positiva, nel corpo e nello spirito.

Allo stesso tempo, avere la sensazione di essere trattati freddamente o in maniera poco empatica – in un momento caratterizzato generalmente da forte fragilità fisica e/o emotiva – può lasciare ferite profonde e ancor più difficili da curare. Al dolore della brutta notizia si aggiunge un senso di solitudine, frustrazione e smarrimento. E questo influisce negativamente non solo sul paziente, ma anche su chi gli è vicino.

<<Ricordo una citazione del mio insegnante di Terapia del dolore che mi aveva particolarmente colpita. Lui diceva: “Nella tua vita ti prenderai cura di migliaia di pazienti. Puó darsi che una storia ti segni - a volte più, a volte meno – e magari di qualcuno ti resterà un vivido ricordo. Ma per loro e per le loro famiglie è diverso: il tuo viso, le tue parole e i tuoi gesti li ricorderanno per sempre. Il tuo volto mentre pronunci quelle parole che non vorrebbe sentire resterá sempre impresso nella loro mente. E, qualche volta, il tuo sarà l’ultimo viso che un paziente vedrà, l’ultimo sorriso che riceverà.”. Credo che queste parole dicano molto sull’importante responsabilità che abbiamo in quanto medici.>>

-Lucia Taurino dirigente medico I livello U.O Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso Ospedale San Gerardo di Milano

La médecine c'est guérir parfois, soulager souvent, consoler toujours.

La pratica della medicina significa a volte curare, spesso alleviare, ma sempre consolare. 

Questa intensa poesia, attribuita al chirurgo francese del sedicesimo secolo Ambroise Paré, racconta qualcosa di importante: il ruolo del medico non riguarda solo la cura fisica dei propri pazienti, ma è anche fortemente legato ad una dimensione psicologica e spirituale. Questo si traduce nella capacità di comprendere lo stato d’animo del proprio interlocutore, riconoscerne la condizione di fragilità, saper interpretare la sua reazione. E lasciargli il tempo di ragionare, metabolizzare le informazioni ricevute e formulare tutte le domande del caso. Senza mai giudicare e restando sempre presenti e concentrati sul complesso momento che il paziente sta attraversando.  

Delle sfide della professione medica e dell’importanza di affrontarle con estrema empatia parla Sander de Hosson, pneumologo olandese e autore del libro “Slotcouplet: Ervaringen van een longarts” (“Ultima strofa: esperienze di uno specialista polmonare”, 2019), intervistato da GoodHabitz nell’ambito del corso dedicato all’Intelligenza Sociale.  

Nel suo libro, de Hosson racconta alcuni dei momenti più difficili e toccanti della sua carriera, soffermandosi in particolare sulla somministrazione delle cure palliative ai pazienti terminali, con lo scopo di restituire loro sollievo nell’ultima e più difficile fase della vita.  

Consapevole del ruolo centrale del medico all’interno di tutto il processo psicologico di realizzazione e accettazione della malattia, de Hosson sottolinea l’importanza di essere diretti e sinceri con i propri pazienti. Dimostrando però sempre di averli a cuore in quanto persone e di voler dare valore ad ogni singolo attimo rimanente della loro esistenza. Magari esaudendo i loro ultimi desideri.  

Le parole d’ordine sono ascolto, sincerità, empatia e umanità. È per questo che non ha potuto dire di no quando una ex ballerina gli ha chiesto di poter semplicemente ballare un’ultima volta: così le ha dimostrato che la sua vita aveva valore fino al momento della morte.  

L’esperienza di medici come Sander de Hosson può essere una grande fonte di ispirazione per approfondire il ruolo dell’empatia nella professione medica. Per farlo, basta dare un’occhiata al corso di Intelligenza Sociale di GoodHabitz. 

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